Assoluzione in primo grado e riforma in appello. La Corte deve motivare con maggior forza persuasiva per superare gli elementi dubbi
la Corte d’Appello può annullare l’assoluzione pronunciata dal Tribunale solo se cade ogni ragionevole dubbio sulla colpevolezza. Lo ha sancito la Corte di cassazione che, con la sentenza n. 40513 dell’8 novembre 2011, ha assolto con formula piena, perché il fatto non sussiste, quattro imputati per spaccio sulla base del fatto che la Corte d’Appello aveva ribaltato il verdetto del Tribunale (assoluzione) pur non avendo nuovi elementi di prova che facessero cadere ogni ragionevole dubbio sulla colpevolezza.
In questa importante sentenza la sesta sezione penale ha sottolineato che «il principio dell’ “oltre ogni ragionevole dubbio”, formalmente introdotto nel nostro ordinamento dalla legge n. 46 del 2006, pur se non più accompagnato dalla regola dell’inappellabilità delle sentenze assolutorie, espunta dalla sentenza n. 36 del 2007 della Corte costituzionale, presuppone comunque che, in mancanza di elementi sopravvenuti, l’eventuale rivisitazione in senso peggiorativo compiuta in appello sullo stesso materiale probatorio già acquisito in primo grado e ivi ritenuto inidoneo a giustificare una pronuncia di colpevolezza, sia sorretta da argomenti dirimenti e tali da evidenziare oggettive carenze o insufficienze della decisione assolutoria, che deve, quindi, rivelarsi, a fronte di quella riformatrice, non più sostenibile, neppure nel senso di lasciare in piedi residui ragionevoli dubbi sull’affermazione di colpevolezza». In altre parole, non basta per la riforma caducatrice di un’assoluzione, una mera diversa valutazione caratterizzata da pari o addirittura minore plausibilità rispetto a quella operata dal primo giudice, occorrendo invece, come detto, una forza persuasiva superiore, tale da far cadere «ogni ragionevole dubbio», in qualche modo intrinseco alla stessa situazione di contrasto. La condanna, invero, presuppone la certezza della colpevolezza, mentre l’assoluzione non presuppone la certezza dell’innocenza ma la mera non certezza della colpevolezza.